venerdì 17 febbraio 2012

Gennaio 2008


“(…) E, scostatisi entrambi su un lato della strada, tornarono a guardare attentamente che cosa potevano essere quelle luci che camminavano; di lì a poco riuscirono a vedere molti incamiciati, la cui spaventevole visione annientò completamente il coraggio di Sancho Panza, il quale cominciò a battere i denti, come chi ha i brividi della febbre quartana; e sia il tremito sia il battere dei denti aumentò quando videro distintamente di che si trattava; perché scorsero circa venti incamiciati, tutti a cavallo, con le torce accese in mano, dietro i quali veniva una lettiga coperta a lutto, seguita da altri sei uomini a cavallo, vestiti a lutto fino ai piedi delle mule, perché ben videro che non erano cavalli dalla placidità con cui camminavano. Gli incamiciati procedevano salmodiando fra loro con voce bassa e lamentosa. Questa strana visione, in quell’ora e in quel luogo solitario, era più che sufficiente a incutere paura nel cuore di Sancho e anche in quello del suo padrone. E così fosse stato per don Chisciotte! Ché già Sancho aveva consumato tutto il suo coraggio. Ma il contrario avvenne per il suo padrone, al quale l’immaginazione in quel momento fece vedere al vivo che quella era una delle avventure dei suoi libri.
Si figurò che la lettiga fosse una barella in cui doveva essere qualche cavaliere gravemente ferito o ucciso e che a lui solo ne era riservata la vendetta; pertanto, senza  riflettere ad altro, pose la lancia in resta, si assestò sulla sella, e con nobile e ardito atteggiamento si pose in mezzo alla strada dove gli incamiciati dovevano passare per forza, e quando li vide vicini, alzò la voce e disse:
<<Fermatevi, cavalieri, o chiunque voi siate, e informatemi dell’esser vostro, di dove venite, dove andate e che cosa portate in quella barella; ché, a giudicare dalle apparenze, o avete fatto o vi è stato fatto qualche oltraggio, e conviene, anzi è necessario ch’io lo sappia, o per punirvi del male che avete fatto o per vendicarvi del torto che vi hanno fatto.>>
<<Andiamo di fretta,>> gli rispose uno degli incamiciati, <<la locanda è lontana e non possiamo fermarci a dar tutte le informazioni che chiedete.>>
E, spronando la mula, tirò innanzi. Don Chisciotte si adirò molto per questa risposta; pertanto, afferrata la mula per il morso, disse:
<<Fermatevi e siate più educato, informandomi di quanto vi ho chiesto, altrimenti vi sfido tutti a battaglia.>>
La mula era un po’ ombrosa e, sentendosi afferrare per il morso, si spaventò tanto che, impennatasi, gettò a terra il padrone dalla groppa. Un garzone che andava a piedi, vedendo cadere l’incamiciato, cominciò a insultare don Chisciotte, il quale, già adirato, senza attendere oltre, posta la lancia in resta, assalì uno di quelli vestiti a lutto e lo  gettò a terra gravemente ferito; poi, voltandosi contro gli altri, era uno spettacolo da vedersi la rapidità con cui li assaliva e li sgominava; sembrava che in quel momento a Ronzinante fossero spuntate le ali, tale era l’agilità e la sicurezza con cui si muoveva. Tutti gli incamiciati erano gente timorosa e  disarmata; pertanto abbandonarono subito, di buon grado, la mischia e cominciarono a correre attraverso i campi, con le torce accese, così che parevano proprio quelle maschere che fanno le corse nelle notti di festa e baldoria. Quelli vestiti a lutto, da parte loro, avvolti e infagottati nelle loro lunghe vesti e zimarre, non si potevano muovere; cosicché, senza alcun pericolo da parte sua, don Chisciotte li bastonò tutti e li costrinse a sgombrare il terreno loro malgrado, perché tutti pensarono che quello non era un uomo, ma un diavolo uscito dall’inferno, per rapir loro il cadavere che portavano nella lettiga.
Sancho seguiva tutto, ammirato dell’ardimento del suo signore, e diceva tra sé: <<Senza dubbio, questo mio padrone è coraggioso e valoroso come egli dice.>> Vicino al primo che la mula aveva gettato a terra stava bruciando una torcia, alla cui luce don Chisciotte poté vederlo; e, avvicinatosi, gli pose la punta della lancia sul viso, intimandogli di arrendersi, altrimenti lo avrebbe ucciso. Al che il caduto rispose:
<<Sono fin troppo arreso, poiché non posso muovermi, avendo una gamba rotta; supplico la signoria vostra, se è cavaliere cristiano, di non uccidermi; commetterebbe un vero sacrilegio, perché sono licenziato e ho ricevuto gli ordini minori.>>
<<Come? Chi diavolo vi ha condotto qui, >> disse don Chisciotte, <<se siete uomo di Chiesa?>>
<<Chi, signore? La mia sventura>>,  replicò il caduto.
<<Ebbene, un’altra maggiore vi sovrasta,>> disse don Chisciotte, <<se non date soddisfazione a tutte le domande che prima vi ho rivolto.>>
<<La signoria vostra sarà facilmente soddisfatta,>> rispose il licenziato; <<pertanto sappia che, sebbene prima abbia detto di essere licenziato, sono soltanto baccelliere e mi chiamo Alonso López; sono nativo di Alcobendas e vengo dalla città di Baeza con altri undici sacerdoti, che son quelli fuggiti con le torce; siamo diretti alla città di Segovia ad accompagnarvi un cadavere, che è in quella bara. E’ un cavaliere che morì a Baeza, dove fu tenuto in deposito, e ora, come dicevo, ne stavamo portando le ossa alla sua tomba, che è in Segovia, di dove è nativo.>>
<<E chi lo ha ucciso?>> domandò don Chisciotte.
<<Iddio, perché lo hanno assalito le febbri maligne,>> rispose il baccelliere.
<<In tal caso,>> disse don Chisciotte, <<Nostro Signore mi ha risparmiato la fatica di vendicare la sua morte, come avrei dovuto fare se qualcun altro lo avesse ucciso; ma, avendolo ucciso chi l’ha ucciso, non c’è altro da fare che tacere e stringersi nelle spalle perché farei altrettanto se uccidesse me. E voglio che Vostra Reverenza sappia che io sono un cavaliere della Mancha, chiamato don Chisciotte, e che è mio dovere e mia professione andare per il mondo raddrizzando torti e cancellando offese.>>
<<Non so in che cosa possa consistere il raddrizzare torti,>> disse il baccelliere, <<perché, da diritto, mi avete fatto diventare storto, procurandomi la frattura di una gamba che non si vedrà più diritta per tutti i giorni della sua vita; e l’offesa che a mio riguardo avete riparato è stata lasciarmi danneggiato in modo che resterò offeso per sempre; pertanto, grande sventura è stata quella d’imbattermi in voi che andate cercando avventure.>> (…)”


(Miguel de Cervantes Saavedra, Don Chisciotte della Mancia, volume primo, capitolo XIX, Edizioni Garzanti)
 Claudia 3-1-2008






Lascio un avviso per tutti coloro che passano da questo "eremo": lettori, commentatori, blogger che postano. Da oggi vige una nuova regola di netiquette: tutti i commenti non firmati saranno cancellati. Saranno consentiti solo confronti diretti, non celati da comodi anonimati. La scortesia non sarà più tollerata. Sarà ben accetta qualunque opinione (purché non sia un insulto ovviamente...), ma gli interventi anonimi saranno oscurati.
Mi auguro che lo scambio di idee prosegua sempre in modo sereno, distensivo e aperto.
Un saluto a tutti i miei ospiti! ;-)
Claudia 14-1-2008





Leggendo un post dell'amico Tristantzara mi è sorta spontanea la necessità di proporre uno stralcio tratto da uno dei testi narrativi più intensi e noti della nostra letteratura. E' un'opera di descrizione impietosa, cruda, alienante e utilissima per ricordare al mondo che lo sterminio ad opera dell'uomo è esistito e, purtroppo, esiste ancora là dove non osiamo rivolgere lo sguardo.
Riporto anche il link al blog di Tristatzara:
http://kataklismi.splinder.com/post/15473408/A0+Fossoli+-+Dachau#comment-41529992


"(...) Sappiamo donde veniamo: i ricordi del mondo di fuori popolano i nostri sonni e le nostre veglie, ci accorgiamo con stupore che nulla abbiamo dimenticato, ogni memoria evocata ci sorge davanti dolorosamente nitida.
Ma dove andiamo non sappiamo. Potremo forse sopravvivere alle malattie e sfuggire alle scelte, forse anche resistere al lavoro e alla fame che ci consumano: e dopo? Qui, lontani momentaneamente dalle bestemmie e dai colpi, possiamo rientrare in noi stessi e meditare, e allora diventa chiaro che non ritorneremo. Noi abbiamo viaggiato fin qui nei vagoni piombati; noi abbiamo visto partire verso il niente le nostre donne e nostri bambini; noi fatti schiavi abbiamo marciato cento volte avanti e indietro alla fatica muta, spenti nell'anima prima che dalla morte anonima. Noi non ritorneremo. Nessuno deve uscire di qui, che potrebbe portare al mondo, insieme col segno impresso nella carne, la mala novella di quanto, ad Auschwitz, è bastato animo all'uomo di fare dell'uomo."

(Primo Levi, Se questo è un uomo, Ed. Einaudi tascabili)
Claudia 15-1-2008


Un augurio speciale al mio chiacchierone. Buon Compleanno!!!
Claudia 20-1-2008







"Non ricordo esattamente quando decisi che Konradin avrebbe dovuto diventare mio amico, ma non ebbi dubbi sul fatto che, prima o poi, lo sarebbe diventato. Fino al giorno del suo arrivo io non avevo avuto amici. Nella mia classe non c'era nessuno che potesse rispondere all'idea romantica che avevo dell'amicizia, nessuno che ammirassi davvero o che fosse in grado di comprendere il mio bisogno di fiducia, di lealtà e di abnegazione, nessuno per cui avrei dato volentieri la vita. I miei compagni mi sembravano tutti, chi più chi meno, piuttosto goffi, degli svevi sani, insignificanti, privi di immaginazione. Nemmeno gli appartenenti al "Caviale" facevano eccezione. Erano ragazzi simpatici e io andavo abbastanza d'accordo con tutti. Ma così come non ero animato da particolari simpatie nei confronti di nessuno, nemmeno loro sembravano attratti da me. Non andavo mai a casa loro né loro venivano mai a trovare me. Un altro motivo della mia freddezza, forse, era che avevano tutti una mentalità estremamente pratica e sapevano già cosa avrebbero fatto nella vita, chi l'avvocato, chi l'ufficiale, chi l'insegnante, chi il pastore, chi il banchiere. Io, invece, non avevo alcuna idea di ciò che sarei diventato, solo sogni vaghi e delle aspirazioni ancora più fumose. Volevo viaggiare, questo era certo, e un giorno sarei stato un grande poeta.
Ho esitato un po' prima di scrivere che "avrei dato volentieri la vita per un amico", ma anche ora, a trent'anni di distanza, sono convinto che non si trattasse di un'esagerazione e che non solo sarei stato pronto a morire per un amico, ma l'avrei fatto quasi con gioia. Così come davo per scontato che fosse dulce et decorum pro Germania mori, non avevo dubbi sul fatto che morire pro amico sarebbe stato lo stesso. I giovani tra i sedici e i diciotto anni uniscono in sé un'innocenza soffusa di ingenuità, una radiosa purezza di corpo e di spirito e il bisogno appassionato di una devozione totale e disinteressata. Si tratta di una fase di breve durata che, tuttavia, per la sua stessa intensità e unicità, costituisce una delle esperienze più preziose della vita."

(Fred Uhlman, L'amico ritrovato, Universale Economica Feltrinelli)
Claudia 21-1-2008







"(...) Quando mi trovo in un posto nuovo, poiché noto ogni cosa, è come quando un computer sta elaborando troppi dati contemporaneamente e il processore si blocca e non c'è più spazio per pensare ad altre cose. E quando mi trovo in un posto nuovo e ci sono molte persone intorno a me è ancora più difficile perché le persone non sono come le mucche e i fiori e l'erba e magari ti rivolgono la parola e fanno cose che non ti aspetteresti che facessero, così è necessario prendere nota di tutto ciò che vedi, e anche di ciò che potrebbe accadere. Qualche volta quando mi trovo in un posto nuovo e ci sono tante persone intorno è come se il computer andasse in palla e devo chiudere gli occhi e mettermi le mani sulle orecchie e comincio a gemere, che è come premere CTRL+ALT+CANC e chiudere tutti i programmi e spegnere il computer e riavviare in modo da ricordare ciò che sto facendo e dove devo andare.
Ed ecco perché sono bravo negli scacchi e in matematica e in logica, perché la maggior parte delle persone sono quasi cieche e non vedono la maggior parte delle cose e c'è una grande potenzialità nella loro testa che rigurgita di cose che non sono collegate tra loro e sono stupide, come <<Spero di non aver lasciato il gas acceso>>."

(Mark Haddon, Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, Ed. Mondadori)
Claudia 25-1-2008

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