venerdì 17 febbraio 2012

Novembre 2008


Sull’amore
Chi mette il piè su l'amorosa pania,
     cerchi ritrarlo, e non v'inveschi l'ale;
     che non è in somma amor, se non insania,
     a giudizio de' savi universale:
     e se ben come Orlando ognun non smania,
     suo furor mostra a qualch'altro segnale.
     E quale è di pazzia segno più espresso
     che, per altri voler, perder se stesso?

2 Vari gli effetti son, ma la pazzia
     è tutt'una però, che li fa uscire.
     Gli è come una gran selva, ove la via
     conviene a forza, a chi vi va, fallire:
     chi su, chi giù, chi qua, chi là travia.
     Per concludere in somma, io vi vo' dire:
     a chi in amor s'invecchia, oltr'ogni pena,
     si convengono i ceppi e la catena.

3 Ben mi si potria dir: - Frate, tu vai
     l'altrui mostrando, e non vedi il tuo fallo. -
     Io vi rispondo che comprendo assai,
     or che di mente ho lucido intervallo;
     ed ho gran cura (e spero farlo ormai)
     di riposarmi e d'uscir fuor di ballo:
     ma tosto far, come vorrei, nol posso;
     che 'l male è penetrato infin all'osso.

(Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, canto XXIV, 1-3)

Aware 3-11-2008

Lavoro a tempo determinato…
Morte-LavoroLow

Posto una vignetta del bravo PV che io trovo amara ma efficace. E' stata presa dal blog del vignettista al link  http://unavignetta.splinder.com/post/16024240/Tempo+determinato
Claudia 6-11-2008



Franz Kafka - Il cavaliere del secchio
Consumato tutto il carbone; vuoto il secchio; inutile la pala; la stufa che respira aria gelida; la stanza gonfia di gelo; davanti alla finestra, gli alberi rigidi nella brina; il cielo, uno scudo d’argento contro chi cerca da lui un aiuto. Devo procurarmi del carbone; non posso certo morire congelato; dietro di me la stufa impietosa, impietoso il cielo davanti a me; perciò devo andare al trotto in mezzo a loro, e nel frattempo, cercare aiuto dal carbonaio. Questi però è ormai indurito contro le mie solite preghiere; devo dimostrargli con chiarezza che non ho più neppure la più piccola particella di carbone, e che dunque lui rappresenta per me il sole nel firmamento. Devo arrivare come il mendicante intenzionato a morire sulla soglia rantolando di fame, e al quale perciò la cuoca si decide a lasciare i fondi dell’ultimo caffè; similmente il carbonaio, pur schiumante di rabbia, ma sotto il raggio del comandamento "Non uccidere!", dovrà scaraventarmi nel secchio un’intera badilata.
Già il mio decollo sarà decisivo; e dunque mi metto a cavalcare sul secchio. Da cavaliere del secchio, la mano in alto sull’impugnatura, che è la briglia più semplice, scendo con difficoltà le curve della scala; quando però sono giù, il mio secchio allora sale splendido, splendido; i cammelli sdraiati bassi per terra, quando il bastone del padrone li incita, non si sollevano con maggiore eleganza. Trottando a velocità adeguata percorro le strade congelate; spesso mi sollevo fino all’altezza del primo piano; non scendo mai fino alle porte d’ingresso. E a straordinaria altezza mi libro sulle arcate della cantina del carbonaio, dove questi sta rannicchiato laggiù al suo tavolino scrivendo; per lasciar defluire l’eccessivo calore ha aperto la porta.
"Carbonaio!" grido con voce arsa e arrochita dal freddo, avvolto dalle nuvole di vapore del mio respiro, "per favore carbonaio, dammi un po’ di carbone. Il mio secchio ormai è tanto vuoto che ci posso cavalcare sopra. Sii buono. Appena posso te lo pago."
Il carbonaio mette la mano all’orecchio. "Ho sentito bene?" chiede da sopra la spalla a sua moglie, che lavora a maglia vicino alla stufa, "ho sentito bene? Ci sono clienti."
"Io non sento proprio niente", dice la donna, respirando tranquilla sopra i ferri, piacevolmente riscaldata sulla schiena.
"Oh sì", grido io, "sono un cliente, un vecchio cliente, un cliente fedele, solamente, per il momento impossibilitato a pagare."
"Moglie", dice il carbonaio, "è così, c’è proprio qualcuno; non posso ingannarmi fino a questo punto; dev’essere un vecchio, un vecchissimo cliente se sa toccarmi così profondamente il cuore."
"Che ti prende, marito?" chiede la donna, e riposandosi un attimo preme sul petto il suo lavoro a maglia, "non c’è proprio nessuno; il vicolo è vuoto; tutti i nostri clienti sono stati riforniti; potremmo anche chiudere il negozio per giorni interi e riposarci."
"Ma io sono qui, seduto sul secchio" grido, e lacrime insensibili di freddo mi velano lo sguardo, "per favore, guardate in su; mi troverete subito; vi prego, datemi una palata di carbone; e se me ne darete due, mi farete felice oltre misura. In fondo, tutti gli altri clienti sono riforniti. Ah, se lo sentissi già risuonare nel secchio!"
"Vengo", dice il carbonaio e con le sue gambe corte vorrebbe già salire le scale della cantina, ma la moglie gli è già vicina, lo ferma prendendogli il braccio e dice: "Resta qui. Se non la finisci con questa idea, salirò io stessa. Ricordati che tosse hai avuto stanotte. Per un affare, e per di più immaginario, dimentichi moglie e figli e metti in pericolo i tuoi polmoni. Vado io." "Allora però digli tutti i tipi di carbone che abbiamo in magazzino; io da sotto ti dirò i prezzi." "Va bene", dice la moglie, e sale nel vicolo. Naturalmente mi vede subito.
"Signora carbonaia", grido, "i miei saluti più devoti; solo una palata di carbone; subito qui nel secchio; me la porto a casa da solo; una palata del peggiore. Naturalmente la pago a prezzo intero, non subito però, non subito." Che suono di campane, nelle due parole "non subito", e come disorienta il loro mescolarsi con le campane serali che proprio ora cominciano a suonare dal vicino campanile.
"Allora, cosa vuole?" grida il carbonaio. "Niente", gli risponde la moglie, "non c’è nessuno; non vedo nessuno, non sento nessuno; solo hanno suonato le sei e noi chiudiamo il negozio. Il freddo è terribile; c’è da prevedere che domani avremo molto lavoro."
Non vede niente e non sente niente; però scioglie il grembiule e agitandolo cerca di soffiarmi via. Purtroppo ci riesce. Il mio secchio ha tutti i vantaggi di qualsiasi buon animale da cavalcare; ma non ha capacità di resistenza; è troppo leggero; basta il grembiule di una donna per cacciarlo a gambe levate.
"Cattiva!" le grido dietro, mentre lei, voltandosi verso il negozio, agita la mano in aria un po’ sprezzante, un po’ soddisfatta di se stessa, "cattiva! Ti ho chiesto una palata di carbone del peggiore e tu non me l’hai data." E dicendo così salgo nelle regioni delle montagne di ghiaccio e mi perdo per non tornare mai più.

(Franz Kafka, Il cavaliere del secchio, da "Durante la costruzione della muraglia cinese")

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Dite un po': non vi sentite anche voi, talvolta, dei personaggi kafkiani? Io sì...
Aware 11-11-2008








Fondamenti di un matrimonio
"(...) Helmer: E potresti anche spiegarmi in che modo ho perduto il tuo amore?
Nora: Sì, te lo spiego. E' stato questa sera quando il miracolo non è accaduto. Allora mi sono accorta che non sei l'uomo che credevo.
H.: Sii più precisa. Non ti capisco.
N.: Per otto anni ho aspettato pazientemente, poiché, mio Dio, capivo anch'io che il miracolo non può accadere tutti i giorni. Poi mi piombò addosso la rovina; e allora ero incrollabilmente convinta che il miracolo sarebbe accaduto. Quando c'era là fuori la lettera di Krogstad...non pensai nemmeno un istante che tu potessi accettare le condizioni di costui. Ero fermamente persuasa che gli avresti obiettato: fallo pure sapere al mondo intero! E dopo di ciò...
H.: Ebbene? Se avessi esposto mia moglie alla vergogna e all'ignominia?...
N.: In questo caso, così credevo fermissimamente, ti saresti fatto avanti caricando tutto sulle tue spalle e dicendo: il colpevole sono io.
H.: Nora!
N.: Credi che avrei mai accettato da te un simile sacrificio? No, beninteso. Ma a cosa sarebbero valse le mie assicurazioni di fronte alle tue? Questo era il miracolo che speravo con angoscia e ansietà. E per impedirlo mi sarei tolta la vita.
H.: Nora, con gioia lavorerei giorno e notte per te, sopporterei dolori e preoccupazioni. Ma nessuno sacrifica il suo onore per coloro che ama!
N.: Lo hanno fatto centomila donne!
H.:Ahimè, tu pensi e parli come una bambina irragionevole.
N.: Può darsi. Ma tu, tu non pensi né parli come colui al quale potrei unirmi. Quando fu placata la tua angoscia non per ciò che minacciava me, ma per ciò che avrebbe potuto colpire te, quando ogni pericolo fu passato...facesti come se non fosse successo niente...Come sempre ridiventai la lodoletta, la tua bambola che intendevi portare in palma di mano con raddoppiata cautela perchè era tanto debole e fragile. Torvald, in quel momento ho avuto l'intuizione di aver abitato qui otto anni con un estraneo e di aver avuto con lui tre figlioli. Oh, non ci devo pensare! Mi farei a brani."


(H. Ibsen, Casa di bambola, trad. di Ervino Pocar, Oscar Classici Mondadori)
Claudia 19-11-2008





Catullo-carme LI
CATULLO - CARME LI

A me pare che pari agli dei,
anzi forse, se è lecito, che li superi,
sia chi, sedendoti di fronte, senza posa
ti mira e ti ascolta,

mentre con dolcezza sorridi, quando a me, sventurato,
questo ogni senso mi sradica: e infatti non appena su te
poso gli occhi, Lesbia, non v'è più
voce a me in gola
,

ma la lingua s'intorpida, sottile nell'ossa
scorre una fiamma, d'un proprio suono
sento ronzare le orecchie, e d'una duplice notte
si rivestono gli occhi.

L'ozio, Catullo, ti fa male:
nell'ozio esulti e t'agiti troppo.

L'ozio, un tempo, ha perduto fiorenti
città e re.

(Catullo, Liber, LI, liberamente ispirato a una poesia di Saffo, mia traduzione)

Sì, sono soprattutto i sorrisi che fanno innamorare. L'ho capito nell'ultimo mese, scoprendone uno straordinario, che davvero mi copre gli occhi d'una duplice notte per trascinarmi nel sogno...
Aware 22-11-2008

Linguaggio cifrato…
ScuolaAltra vignetta di PV per cominciare la giornata col sorriso. Non so se i ragazzi si esprimano così durante un'interrogazione ma questo scambio di battute mi fa ridere..."No-end"...Ho pensato a tutti i docenti di lettere.
Il sito di pv lo trovate tra i link a sinistra, come sempre.
Claudia 23-11-2008









Antefatto:il simbolo.
(…) “Il simbolo è sempre un prodotto di natura assai complessa, poiché si compone dei dati e di tutte le funzioni psichiche. Per conseguenza esso non è né di natura razionale né irrazionale.” [1][1]  In altre parole esso attiva l’intero essere umano e costituisce il ponte che collega i diversi territori della psiche. E’, sostiene Jung, l’unificatore degli opposti, un mezzo capace di esprimere quelle possibilità di sviluppo (intuizione) che non hanno altre opportunità di manifestarsi.
Il simbolo è vivo finché è pregno di significato, possiede ulteriori risorse di trasformazione sia dell’individuo sia della coscienza collettiva. Quando tale carica si esaurisce perché ha manifestato tutte le sue innumerevoli funzioni, il simbolo muore e decade a mero “segno” e di esso non rimane che il valore storico. (…)
(…) l’incapacità di accedere alla dimensione simbolica dell’esperienza impedisce il progresso del pensiero e delle facoltà creative. Le equazioni simboliche possono lo stesso irrompere nell’arte ma “gli artisti in special modo, quando sono artisti riusciti, combinano un’enorme capacità di usare simbolicamente il materiale per esprimere le loro fantasie inconsce con un senso estremamente acuto delle caratteristiche reali del materiale che usano. Senza quest’ultima capacità, riuscirebbe loro impossibile servirsi efficacemente di esso per comunicare il significato simbolico cui vogliono dar corpo.”[2][2] Insomma, nell’attività artistica si tratta di saper contenere gli aspetti primitivi dell’attività psichica, compresi quelli che la Segal definisce “equazioni simboliche”. (…)

(Giuseppe Pansini, Il cavallo di Ulisse. Tra Freud e Jung un progetto per la psicologia dell’arte, Franco Angeli, Milano 2000, pp.132-133.)


Claudia 30-11-2008



[1][1] C. G. Jung, Tipi psicologici, in “Opere”, vol. VI, Boringhieri, Torino 1981, pag. 488.
[2][2] H. Segal, Sogno, fantasia e arte, raffaello Cortina ed., Milano 1991, pag.49.

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