venerdì 17 febbraio 2012

Marzo 2008


C’era una volta un pover’uomo e una donna. Non avevano figli. Un giorno la donna andò nel bosco e incontrò una vecchia che le disse: <<Va’ a casa e spacca in due una grande zucca, versaci dentro mezzo litro di latte e bevilo. Avrai un figlio maschio che crescerà grande e ricco>>.
Dopo queste parole la vecchia scomparve e la povera donna andò a casa e fece esattamente quello che la vecchia le aveva detto.
Nove mesi dopo partorì un bel maschietto. Ma la felicità della donna non durò a lungo perché si ammalò e presto morì, quando il ragazzo ebbe vent’anni. Allora il giovanotto pensò: “Cosa faccio qui solo soletto? E’ meglio se me ne vado in giro per il grande mondo a cercare fortuna”.
Si mise in cammino, di villaggio in villaggio, da una città all’altra, ma da nessuna parte trovò fortuna. Un giorno arrivò in una città dove viveva un Re molto ricco. Questo Re aveva una bellissima figlia che voleva dare in moglie solo a colui che avesse fatto una cosa mai vista prima al mondo. Molti uomini avevano già provato, ma finora nessuno era riuscito a creare o scoprire qualcosa che non si fosse già visto prima.
Non appena udito ciò, il giovanotto andò dal Re e disse: <<Io vorrei la mano di tua figlia. Di’ allora cosa devo fare!>>.
Il Re andò in collera per tanta audacia e disse : <<Mi domandi cosa devi fare? Ma sai già che soltanto colui che farà una cosa che non si è mai vista al mondo potrà avere la mano di mia figlia. Visto che hai fatto una domanda così stupida, ti metterò in galera fino alla fine dei tuoi giorni>>.
E i servi chiusero il giovanotto in un carcere buio e freddo. Non appena la porta si fu chiusa, dentro la cella si fece all’improvviso una grande luce e apparve Mantuya, la regina delle fate.
<<Non essere triste>>, disse la fata. <<Ti prometto che avrai la mano della figlia del Re. Eccoti qua una piccola cassa di legno e un bastoncino. Ora mi devi strappare dalla testa un po’ di capelli e stenderli sulla cassa e sul bastoncino>>.
Il giovanotto fece come aveva detto la fata e quando fu pronto lei gli disse: <<Ora passa il bastoncino sui capelli della cassa>>.
Di nuovo il giovanotto eseguì e a questo punto la fata disse: <<La cassa diventerà un violino e renderà allegra o triste la gente a seconda di come tu vuoi>>. Poi prese la cassa e ci rise dentro, vi fece cadere qualche lacrima e disse: <<Passa ora il bastoncino sui capelli della cassa>>.
Il giovanotto fece come ordinatogli e dalla cassa si udirono dei canti che ora stringevano il cuore, ora lo rendevano allegro.
Quando Mantuya scomparve, il giovanotto chiamò i servi e si fece portare dal Re.
<<Ora, maestà, ascolta e guarda quello che ti ho portato>>, e cominciò a suonare. Il Re, al settimo cielo dalla gioia, gli dette la mano della sua bellissima figlia e vissero felici e contenti a lungo.
Così apparve il violino nel mondo.

Fiaba dei rom ungheresi

(K. Wiernicki, Fiabe zingare, Rusconi libri)


* In Transilvania esistono molte varianti di questa favola tra cui quella che fa risalire l’origine del violino ad una scoperta del diavolo. Secondo la credenza degli zingari il violino è un oggetto che viene sempre dall’aldilà.
Claudia 1-3-2008




Per voi, che il vostro amore è  la vita

Voi, che il vostro amore è la vita.
Voi, che la vostra ira è la morte.

Voi che avete riflesso la speranza delle stelle
nella disperazione dei cieli.

Voi che avete creato
gli anni, i secoli
 e partorito degli uomini che sui pali d’impiccagione
hanno intagliato i loro ricordi.
E avete allevato nel vostro piccolo ventre
la grande storia del futuro.

E voi che avete allevato la vittoria
nell’utero della sconfitta.

Voi, che il vostro amore è la vita,
voi, che la vostra ira è la morte!

Voi che siete il luccichio dell’astro dell’amore
nelle fredde tenebre dei cuori.
Voi che avete arso la scintilla del bacio
sulle assetate ceneri delle labbra
e ci avete insegnato la resistenza e la forza,
nei supplizi e nella sofferenza.

E i piedi piagati
con pesanti scarpe,
alla ricerca del vostro amore,
attraversano lontani sentieri.

E pensa a voi
l’uomo che conduce la sua barca
sull’acqua delle lontananze.

Voi, che il vostro amore è la vita
Voi, che la vostra ira è la morte!

Voi che siete belle
affinché gli uomini venerino la bellezza.

E ogni uomo si affretta lungo qualche sentiero
per l’incantesimo di un vostro sorriso.

E ogni uomo nella propria libertà
è legato alla catena dorata di un amore.

Voi, che il vostro amore è la vita
Voi, che la vostra ira è la morte!

Voi che siete lo spirito della vita
e la vita senza di voi è un focolare spento.

Voi, che il canto dell’abbraccio della vostra anima
è allietante all’orecchio dell’anima dell’uomo.

Voi che nel viaggio colmo di timore della vita,
nel vostro grembo, avete confortato gli uomini
e siete adorate da ogni uomo che adori sé stesso.

Il vostro amore datelo a noi,
voi, che il vostro amore è la vita!

E la vostra ira ai nostri nemici,

voi, che la vostra ira è la morte!

(A.Shamloo, traduzione a cura di Javad Daneshpour, raccolta inedita)
E' vietata qualunque riproduzione del testo tradotto. 
Claudia 7-3-2008









"(...) Il letto  si trovava nella semioscurità, protetto dalla luna da una colonna, ma dai gradini di accesso si stendeva verso il letto un nastro di luce lunare. E non appena il procuratore ebbe perso il collegamento con quello che c'era intorno a lui nella realtà, subito si mosse per la strada luccicante e la risalì, direttamente verso la luna. Nel sogno sorrise perfino di felicità, tanto ogni cosa si risolveva in modo così splendido e irripetibile su quella diafana strada azzurra. Era seguito da Banga, e vicino a lui camminava il filosofo errante. Discutevano qualcosa di molto complesso e importante, e nessuno dei due riusciva a vincere l'altro. Non si accordavano su nessun punto, e questo rendeva la loro discussione particolarmente interessante e interminabile. S'intende che l'esecuzione di quel giorno era stata un mero equivoco: il filosofo che aveva escogitato una cosa così incredibilmente assurda come la bontà universale degli uomini, gli camminava accanto, quindi era vivo. E, naturalmente, sarebbe stato orribile anche il solo pensiero che un uomo simile potesse essere giustiziato. L'esecuzione non era avvenuta! Non era avvenuta! Ecco in che cosa consisteva il fascino del viaggio su per la scala lunare.
Vi era tanto tempo libero quanto ne occorreva, il temporale sarebbe scoppiato solo verso sera, e la codardia era indubbiamente uno dei vizi più terribili. Così diceva Jeshua Hanozri. No, filosofo, ti obietto: è il vizio più terribile di tutti!
Ecco, per esempio, non aveva avuto paura l'attuale procuratore della Giudea, allora tribuno della legione, quella volta nella Valle delle Vergini, quando i germani infuriati avevano quasi dilaniato il gigantesco Ammazzatopi! Ma per carità, filosofo! Possibile che tu, con la tua intelligenza, possa pensare che, per causa di un uomo che ha commesso un delitto contro Cesare, il procuratore della Giudea si rovini la carriera?
- Sì, sì... - gemeva e singhiozzava nel sonno Pilato.
Certo che se la sarebbe rovinata. Al mattino non l'avrebbe fatto, ma adesso, di notte, soppesato tutto, era pronto a rovinarsela. Era pronto a tutto, pur di salvare dall'esecuzione quel pazzo sognatore e medico completamente innocente! (...)"

(Michail Bulgakov, Il Maestro e Margherita, traduzione di Vera Dridso, Edizioni Einaudi)
Claudia 14-3-2008










Una Spugna per cancellare il passato!
Una Rosa per adolcire il presente!
Un Bacio per salutare il futuro!

Alfo71 16-3-2008











Viaggi nell’arte


Milena Pastoressa, I fiori dell'Africa, 1998, olio su tela, cm 80x100.

MILENA PASTORESSA, I fiori dell
Diversi anni or sono, nel 1999, presenziai all'inaugurazione di una mostra personale di una giovane artista, mia collega universitaria, le cui opere erano state esposte presso la libreria Einaudi di Bari, nell'intento di unire arte letteraria e arte pittorica e offrire ai lettori una piacevole sosta tra un libro e l'altro.
Forse l'ambiente sacrificava un po' l'espressione cromatica delle bellissime opere di Milena, ma la loro carica comunicativa era talmente viva che tutt'ora, a distanza di quasi un decennio, ne ho un ricordo intenso e piacevolissimo.
La sua pittura è, al contempo, un concentrato di emozioni, speranze, femminilità, malinconia e apertura verso il mondo. Fra tutte le interessanti opere esposte, mi colpì il lavoro che vi propongo in questo post, per il suo cromatismo vivace, per il soggetto femminile e per ciò che mi ha emozionata. Sembra vi sia uno sguardo al futuro, un avvolgente richiamo per gli occhi e un reiterarsi semplice e atavico della maternità. L'artista, curiosamente, in una chiacchierata tra noi, mi esplicitò che era proprio questa la visione che l'aveva guidata e che il contatto con questo tipo di immagine femminile era scaturito dal legame col suo compagno, di origini africane. La comunione di esperienze e sensibilità me la fece sentire vicina e mi dispiace non aver avuto ulteriori occasioni per ammirare la sua produzione. So che ha abbandonato il suo paese d'origine, trasferendosi al nord. Riscatto la sua lontananza, offrendovi l'occasione di godere della sua bravura.
"...Si tratta di quadri che, al di là della forma pittorica, esprimono temi legati alla sua profonda sensibilità umana.
Specialmente nelle figure, Milena Pastoressa  sottintende una allegoria nascosta che denota una capacità di riflessione che riporta ai problemi della vita e ai rapporti costanti che l'uomo ha con i suoi simili, con il tempo, con la stessa morte.
La pittrice Milena Pastoressa non racconta soltanto con il disegno e con il colore, che pure hanno una parte fondamentale nella sua espressione artistica, ma attraverso un simbolismo intelligente, lascia intravedere una sensibilità profonda per tutto ciò che è veritàè, è vita, è speranza.
Le maschere senza maschere sono il segno di un rifiuto dell'ipocrisia e di una netta esaltazione della vita. L'insistenza sulle figure femminili rappresenta l'esaltazione della vita la cui espressione più alta è nella fertilità femminile; così come è importante il tema della speranza che vince la lotta contro il tempo e contro la morte nei gruppi di volti dalla mimica parlante.
Non c'è nella pittura di Milena Pastoressa soltanto la descrizione, ma c'è spazio anche per l'allegoria, per il pensiero profondo, per la ricerca del significato oltre il segno.
Allora non è una pittura ovvia scontata, descritta e basta. E' soprattutto una pittura ragionata in cui bene si coniugano pensiero e sentimento."
(Michele Giorgio)
<<Milena Pastoressa nasce a Bitonto il 2 gennaio del 1970. Ancora in tenera età si esprime attraverso il disegno ed il colore, che entrano a far parte integrante della sua vita. Nel 1988 realizza le sue prime esposizioni, che si susseguono numerose in varie località italiane, riscuotendo sempre maggiori consensi. Sperimenta continuamente nuove tecniche artistiche, che nel corso degli anni perfeziona con sempre crescente professionalità.
Dopo un soggiorno di due anni a Venezia, che si rivela determinante per la sua ispirazione artistica, nel 1999 si laurea in Lettere, con indirizzo storico-artistico, presso l'Università di Bari, discutendo una interessante tesi su: "Iconografia tassiana: la Gerusalemme liberata nella cultura figurativa meridionale tra XVII e XVIII secolo", relatrice la prof.ssa Luciana Cusmano.>>
Sue opere sono entrate a far parte di un gran numero di collezioni pubbliche e private in Italia e all'estero."
Numerose sono state le sue esposizioni, qui inelencabili per lunghezza.

Fonti bibliografiche:
L'immagine, la recensione critica e i cenni sulla vita dell'artista sono tratti da "Milena Pastoressa, I colori delle parole", a cura di Marisa Lepenne, Catalogo edito in occasione della mostra personale dell'artista nel 1999.
 Claudia 18-3-2008






Vivere una sola vita
   in una sola città
   in un solo Paese
   in un solo universo
vivere in un solo mondo
è prigione.
 
Amare un solo amico,
   un solo padre,
   una sola madre,
   una sola famiglia
amare una sola persona
è prigione.
 
Conoscere una sola lingua,
   un solo lavoro,
   un solo costume,
   una sola civiltà
conoscere una sola logica
è prigione.
 
Avere un solo corpo,
   un solo pensiero,
   una sola conoscenza,
   una sola essenza
avere un solo essere
è prigione.
 
 
 (Ndjock Ngana, poeta camerunense)
 
(la poesia è stata pubblicata nel '94 nella raccolta "Nhindò nero", Edizioni
Anterem di Roma, con un'introduzione di Luigi Di Liegro)
La poesia è stata tratta dal sito http://lists.peacelink.it/africa/msg02073.html
Claudia 29-3-200

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